Giù
tassi e tasse
Di
Carlo Pelanda (21-10-2008)
La tendenza recessiva in
atto fa temere un impatto pesante per l’economia italiana. Confindustria
ha stimato, una decina di giorni fa, una contrazione del Pil di -0,5% nel 2009.
I dati correnti - per esempio caduta della produzione industriale, cedimento
dell’export, iniziale aumento della disoccupazione, ecc. - indicano scenari forse peggiori. Per
questo è urgente capire cosa possa essere fatto per
evitarli.
In queste
condizioni qualsiasi economista di scuola realistica direbbe: mollate tutti i
cordoni della borsa per stimolare l’economia, con misure di emergenza,
senza starci troppo a pensare. Ma le corde restano
strette e ancora non rilasciano le giuste risorse all’economia reale in quattro
settori fondamentali: costo del denaro, credito, costi fiscali e sistemici. La Bce tiene i tassi di
riferimento al 3,75%, dopo averli tagliati dello 0,50 pochi giorni fa, come se
ci fosse ancora un rischio di inflazione a 18 mesi. La
probabilità elevata di una recessione europea che duri per tutto il 2009,
combinata con la caduta del prezzo del petrolio a seguito della minore domanda
dovuta alla contrazione dell’economia globale, non
giustifica tassi così elevati, restrittivi. Infatti è
probabile che la Bce
li tagli nel prossimo futuro. Ma la situazione pericolosa in
Germania, Francia ed Italia, che insieme fanno quasi il 75% del Pil dell’intera
eurozona, consiglierebbe di tagliare subito e tanto. Quali sarebbe il tasso giusto, cioè stimolativo, ma non
inflazionistico, oggi? Tra il 2 ed il 2,5%. Non si capisce cosa aspettino a Francoforte. La riduzione del costo del denaro,
nelle contingenze, non è solo utile a ridurre i costi di indebitamento
di famiglie ed imprese e quindi a stimolare consumi ed investimenti, ma anche
ad accelerare la ripresa del credito congelato dalla crisi finanziaria/bancaria
appena tamponata. E’ il momento che il governo italiano faccia
pressioni silenziose, ma fortissime, sulla Bce, imputandola di impoverimento se
non si decide ad adeguare la politica monetaria alla realtà. Ma
non basterà la sola riduzione del costo del denaro. Questo è un momento in cui
bisognerebbe tagliare il più possibile le tasse su imprese e famiglie per
ridare loro capitale utile, appunto, per investimenti e consumi. Non servono
misure selettive di sostegno a singoli settori industriali o a categorie
disagiate. Sarebbero solo goccia nell’incendio. Quello che serve è un abbattimento sostanziale dei costi fiscali
complessivi. Il governo non ha molto spazio di manovra tra vincoli
europei, rigidità della spesa pubblica e peso del debito che rende più
pericoloso il ricorso al deficit. In tal senso dobbiamo renderci conto delle
difficoltà oggettive e non possiamo pretendere l’impossibile. Ma proprio per questo vanno cercati con maggiore attivismo
gli spazi possibili. Per esempio, ci sono nel bilancio statale circa 15
miliardi di euro di trasferimenti diretti alle imprese
che potrebbero essere trasformati in detassazione generale delle stesse con
effetto stimolativo immensamente maggiore, soprattutto, per le piccole oggi a
maggior rischio. Inoltre, il governo dovrebbe sia togliere regole inutili e
costose per fluidificare le iniziative economiche sia
aumentare la concorrenza per ridurre i costi sistemici. In conclusione, la
miglior ricetta di contrasto alla recessione è quella di dare impulso al
mercato riducendone pesi e costi. Mi rendo conto che in periodi di pessimismo
economico la gente chiede aiuti statali diretti e la politica si trova
costretta o tentata a darli. Ma sarebbe un errore che
aggraverebbe l’impatto recessivo.
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